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Sinistra conservatrice e destra progressista

In ambito politico (e quindi comunicativo) i Ferragnez valgono più di tutti gli analisti prodotti dalle più celebrate università italiane. Un bravo copywriter (quasi sempre prezzolato e non potrebbe essere altrimenti) porta molti più voti di un ideologo coronato d’alloro.
L’ha capito la Meloni mentre la sinistra fatica ancora a farsene una ragione. D’altronde i buoni difficilmente mettono in discussione se stessi…
Una piccola riflessione all’indomani delle elezioni politiche 2022 sulla base di uno scritto di Marco Belpoliti.
N.b: tutte le citazioni sono tratte dal suo articolo.

Giorgia e i meloni: il linguaggio del marketing

P er quanto parziale, partigiana e scaltra (il non detto, tra le righe, emerge quasi più dell’esplicito) questa analisi di Marco Belpoliti (apparsa su Doppiozero il 27/09/2022 e che vi invito caldamente a leggere) ha, per lo meno, il privilegio raro di aver finalmente introdotto apertamente nel gergo politico i concetti del marketing.

Si tratta del tema della costruzione del personal brand che comporta l’affermazione di una identity politics.

Perché, signori miei, è così: nella società dello spettacolo, nel grande baraccone dell’intrattenimento che è divenuto il mondo occidentale, vince chi usa le tecniche di persuasione (di matrice anglo-americana) che la pubblicità ha già ampiamente testato dai primi decenni del ‘900 e che hanno raggiunto la loro massima espressione (mutatis mutandis) nel mondo digitale.

Giorgia Meloni e i meloni

Il 25 settembre alle ore 8:41, in presunto pieno silenzio elettorale, Giorgia Meloni pubblica un video su Tik Tok. Breve, chiarissimo. La frase, a mo’ di slogan, è semplice e diretta: “25 settembre, ho detto tutto”.

I due meloni esposti nel breve video hanno anche un loro senso al di là dei significati più o meno reconditi che veicolano: suoi avatar linguistici per via del cognome; sono metafora dei due seni della leader di fratelli d’Italia, prima donna a diventare Presidente del Consiglio della Repubblica; alludono agli attributi maschili secondo l’espressione maschilista: “Ho due coglioni così”. E poi la frase: “Ho detto tutto” è esplicativa dello stile non solo comunicativo, ma anche caratteriale di Giorgia Meloni.

Non citerò i vari Cialdini, gli studi sui biases cognitivi, la PNL, l’archetypal branding. Questo lo faccio fin troppo spesso per lavoro. E ne ho francamente un po’ la nausea. Vi basterà cliccare i link qui sopra per approfondire.

Vi dirò però che è stato l’inbound marketing a farci capire che l’utente (sia esso futuro cliente o elettore) va intercettato nel momento giusto e nel luogo giusto, perché anche la scelta di voto è un buyer journey, presenta dei touchpoint su cui lavorare, dei bisogni scatenanti, dei risultati attesi (aspettative), delle fasi di ricerca e valutazione, delle barriere all’acquisto e una decisione finale che è simile (per modalità e meccaniche sia razionali che emotive) a quanto accade nella scelta di un marchio.

“Difenderemo la nostra identità. Io sono Giorgia. Sono donna. Sono italiana. Sono una madre. Sono cristiana. Non me lo toglierete!” . Uno slogan perfetto per lanciare il proprio personal brand, dal momento che ciascuna delle “qualità” o “doti” con cui si definisce ha un significato importante e specifico, cosa che Salvini non è riuscito a dare alle sue parole d’ordine.

Buyer Journey Esempio

Esempio di buyer journey con l’indicazione dei vari touchpoint (TV, social media, media tradizionali etc…). Immagine © Akhia.com

Ecco perché parlare di personal brand e di brand awareness è fondamentale nella politica odierna.

L’aveva capito Berlusconi (non del tutto), il M5S aveva fatto scuola (grazie sopratutto a Casaleggio che, guarda caso, veniva dall’ambito strategico-consulenziale in campo digitale e pubblicitario), l’aveva compreso Salvini (il cui brand è crollato quando uno più forte si è collocato sullo stesso segmento di mercato) e ora l’ha inteso alla perfezione la Meloni.

Nulla di nuovo, sia ben chiaro: chi non ricorda la campagna di François Mitterrand (La force tranquille) escogitata da uno dei più grandi (e discussi) pubblicitari di sempre, Jacques Séguéla

Storia del copywriting - Seguela e Mitterand 1981

La campagna per le presidenziali del 1981 venne vinta dallo sfavorito Mitterand anche (e soprattutto) grazie agli slogan creati ad hoc da Seguela e dal suo staff. Un interessante approfondimento lo si può leggere qui

Credere ancora che le logiche del marketing e della comunicazione finalizzata alla vendita (brand awarness, claim, unique selling proposition, unique value proposition, influencer, social proof, halo effect, persuasive copywriting, buyer persona etc…) possano essere avulse dalla politica, significa non aver compreso che, nel contesto odierno, tutto è oggetto di mercificazione, soprattutto in un’epoca di morte ideologie, le quali, d’altro canto, servono solo a dare colore e calore al Tone of Voice del candidato-azienda.

Ah, un’ultima cosa: dietro alla Meloni (marchio assai forte, al momento, perché intercetta anche alcune istanze mainstream come la questione di genere) – tra i vari spin doctor –  c’è un marketing manager, un copywriter (per restare in metafora, visto che egli non è nulla di tutto ciò) con due palle così: trattasi del volpone Pietrangelo Buttafuoco.
Chi avesse letto il suo “Cabaret Voltaire, l’islam, il sacro, l’occidente” capirà certamente perché ci troviamo di fronte ad una comunicazione ben più scaltra, pervasiva, studiata e – ammettiamolo – fondata dell’accozzaglia sbracata di Capitan Salvini.

C’è nella Meloni qualcosa di Craxi, della sua anima decisionista, espressa per la prima volta nella politica italiana da una donna, la cui vita personale, raccontata nel libro autobiografico, è stata quella del riscatto e della rivalsa […] Il sogno americano in chiave italo-romana. Non solo il figlio di un nero e di una bianca può diventare Presidente degli Stati Uniti, ma anche una ragazza abbandonata dal padre e cresciuta dalla mamma e dalla nonna in una zona proletaria di Roma può salire lo scalone del Palazzo. 

Del PD e della sinistra in genere c’è poco da dire: hanno compreso, forse, solamente l’importanza degli influencer (battaglioni che schierano sempre, a difesa della roccaforte dirittista), ma continuano a ragionare – comunicativamente parlando – in modo anacronistico (difficile a credersi, per dei progressisti, nevvero?).

Inutile stracciarsi le vesti: il razionalismo del Pd e di Letta appartiene al passato. Nella società dello spettacolo, dei social network, del mercato della attenzione, l’impasto meloniano di Giorgia funziona meglio dello slogan: Scegli, che ha una assertività che non comporta alcuna risposta performativa reale.

Anche Calenda e il cosiddetto terzo polo, pur avendo tra le proprie fila il macchinatore occulto (leggasi Renzi), si propone al pubblico con un buonsenso così smaccato e analitico da risultare poco attrattivo per i grandi numeri, per la pancia della marmaglia, che è quella che, ahinoi, fa la differenza (come la fece la rust belt nell’elezione di Trump) in un contesto oclocratico.

Cosa accadrà ho, in parte, la presunzione di saperlo già. Per ora diamo a Belpoliti il credito che gli spetta: aver messo in primo piano il fatto che non c’è altro modo di vedere il politico se non con gli occhi della finanza, del marketing e della pubblicità.

Immagine di copertina ©Christopher Dina – All Rights Reserved

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